Una quasi recensione de “Il pulpito del male” di Marco Cevolani
Mi siedo. Debbo leggere quel rapporto del Maresciallo Colantuoni [p. 3].
Una brutta storia. Qualcosa che mi dà la nausea ed una gran voglia di bere. Lo stomaco mi si rivolta al solo pensarci. Però è questo il mio lavoro. O, almeno, una parte. E che comunque è riuscito a consumarmi, sgretolarmi; che ha infranto un po' di cose: la famiglia, il legame con mia figlia e cose così insomma. Piccole bazzecole per un massacro.
Mi decido. Apro la cartellina anche perché «un omicidio a Borgopianura non capitava da anni, almeno dalla seconda Guerra Mondiale, quando nella chiesa dell'Addolorata fu assassinato Giovanni San Felice, noto come il partigiano di Borgopunta» [p. 4]. Vero. Solo che quello attuale riguarda un giovane ragazzo. Ho il voltastomaco. Prendo il mio sigaro e lascio che il suo fumoso e denso aroma invada l'ufficio. Dopo un quarto d'ora mi decido ad aprire la finestra; lontani rumori di una città in fermento, che non si ferma davanti a nulla. Indifferente anche a se stessa. Voci, come quella di un figlio che dice al padre «"ogni volta che passiamo per questo incrocio ci mettiamo ore e ore"» [p. 2]. Colpa, pensai, di questo traffico agonico, tipico di una contemporaneità che ci digerisce e sputa con un «rimprovero» [p. 3]. «Pare innegabile che la città odierna sia la metafora più riassuntiva della nostra accanita infelicità, luogo in cui non possiamo vivere, e che non possiamo abbandonare» [nota A]. È la mia frustrazione a parlare, la mia rabbia, assieme a quel vomito rattenuto che circola per i miei tubi digerenti.
A che punto sono le indagini? Cosa abbiamo in mano?
Un «cadavere senza alcun vestito addosso» che «presentava una ferita da corpo contundente alla testa, secondo il coroner la probabile causa di morte. C'erano però anche dei segni di strangolamento e quindi solo l'autopsia avrebbe potuto fare maggiore chiarezza» [p. 5]. La mia speranza, come quella del Maresciallo, è che l'esito autoptico ci giunga nel minor tempo possibile. Entrambi abbiamo una fottuta urgenza di risposte.
Il punto essenziale, mi trovai a pensare tra me e me, è cosa distrugge la morte. Sogni, idee, speranze, paure, possibilità. E le indagini, a tal proposito, ci dicevano che, con Luca Scotti [p. 3], questo il nome della vittima, era svanito, era stato maciullato quello che, nel corso delle investigazioni, era emerso come un delicatissimo, quasi timido ma intenso, amore tra lui ed un coetaneo. Di quegli amori, pensai, puberali, da rossore, da pensiero fisso, da batticuore ed assenza di fiato. Ne ebbi una improvvisa nostalgia unita ad una sensazione di annichilimento. Dagli interrogatori del gruppo dei pari era emerso che «Luca aveva confidato già da parecchie settimane di essere innamorato di Guido, Guido Frantoni» [p. 4]. Che, a sua volta, nelle note che aveva verbalizzato, era stato ancora più esplicito: «[Luca] mi ha chiesto quante volte mi masturbo al giorno. Io non sapevo cosa rispondere e gli ho detto che non facevo quelle cose. Lui mi ha preso la mano e se l'è messa sul suo pacco, insomma, lì e mi ha detto 'Se vuoi ti faccio vedere come si fa'. Io non sapevo cosa fare e… e l'ho lasciato fare…"
"Vi siete quindi masturbati a vicenda?
"Sì." Rispose Guido con un certo imbarazzo.
"Ti sei sentito a disagio?"
"Inizialmente avevo paura perché Luca mi ha preso la mano con forza, però dopo…mi è piaciuto…"» [p. 7]. I primi, incerti, approcci tra due esseri umani che si piacciano. La scoperta della sessualità. Sorseggio il mio brandy. Tema non facile quello della omosessualità. Ci vuole coraggio, pensai, ad ammetterlo con se stessi e con gli altri ed ancor più a viverla. Anche se, proseguii le mie elucubrazioni, mi pareva che la società stesse, finalmente, divenendo più inclusiva ed accogliente, meno discriminante. Almeno in parte. Almeno un poco.
Mi ripresi dal torpore dei miei ragionamenti da vecchio che vede il mondo cambiare. Nella vicenda vi erano alcune stranezze. Il corpo era stato rinvenuto presso un pulpito. «Don Umberto, il parroco» [p. 5] lo conoscevano da troppi anni per includerlo tra i sospettati; poi «sarebbe [stato] un fesso a nasconderlo proprio in Chiesa» [ivi]. Che sapevamo di quel cadavere? La deposizione del suo amico Mattia non lasciava molti dubbi: «"Non faceva assolutamente uso di stupefacenti e né spacciava"» [ivi].
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Ne parlai con Colantuoni. Sul binario morto delle nostre ricerche l'unico, incerto, sospettato [p. 6] rimaneva Guido, ma nessuno di noi due ci credeva realmente. Avevamo fatto controllare le telecamere della zona, fatto mettere sotto controllo la Chiesa, richiesto l'autorizzazione al magistrato per sequestrare portatile e telefonino dello Scotti [p. 9]. Non avanzavamo di un passo. Ormai ci era chiaro che, a breve, ci avrebbero «sollevato dalle indagini» per affidarle a qualche rinforzo romano [p. 8]. Il senso di sconfitta prese a farmi respirare male. Stavamo, il collega ed io, in bilico su una fune, mentre il corpo di un adolescente permaneva sigillato in una cella frigorifera.
Sulla parete sinistra, quella più grande, del suo ufficio, il Maresciallo aveva disposto le poche sicurezze che potevamo maneggiare per districarci dal cul-de-sac ove siamo caduti. Il delitto era avvenuto in una Chiesa, presso il pulpito. «Il pulpito si trova a qualche metro di altezza e si raggiunge per un'angusta scala a chiocciola posta all'interno della colonna dove è arroccato. Era evidente che se il cadavere era stato portato lì ci sarebbero volute almeno due persone, ma poteva anche essere stato ucciso nel pulpito, probabilmente quindi da una persona sola» [p. 5]. Poteva essere che «Luca era finito in qualche giro strano?» [ivi]. Lo avevano rinvenuto «nudo; l'autopsia avrebbe anche chiarito se avesse avuto rapporti sessuali: ma perchè fare sesso in un pulpito? Con che cosa era stato colpito? Nel pulpito non c'era nulla che potesse essere considerata l'arma del delitto; quindi, vuol dire che l'assassino aveva portato con sé l'arma, chiaramente considerando il pulpito come luogo del delitto. Dove erano finiti i vestiti di Luca? Perché portarli via? Forse perché c'erano su di essi tracce organiche?» [ivi]. Il luogo sembrava voler rimandare a qualche antico rituale, di purificazione e sacrificio umano. Qualcosa di atrocemente ancestrale. Il perdono divino e la dannazione eterna, «il supplizio come spettacolo, come oggetto simbolico e sacro» [nota B]. «La morte è stata causata da ripetuti colpi ricevuti sulla fronte» [p. 9]. Gli approfondimenti di laboratorio erano giunti alla conclusione che «il ragazzo era uso, comunque, a ricevere rapporti anali, non però quella sera o nei giorni immediatamente precedenti» [ivi]. Gioco erotico e perverso finito male oppure la Parola divina che scaccia gli Impuri, i sodomiti, e, michelangiolescamente, li getta negli abissi infernali, più precisamente, direbbe Dante, nel terzo girone del settimo cerchio? Il mio disperdermi in ipotesi letterarie fu bruscamente interrotto dallo squillo del telefono. Era il Generale Azzoni che, senza troppi preamboli esordì con: «"Non può essere che un ragazzino di 17 anni muore in una chiesa, il suo cadavere viene trovato nudo, e dopo 4 giorni non si sa ancora nulla, nemmeno un sospetto!"». Balbettammo, il Maresciallo ed io, che era un caso intricato.
Pochi elementi.
Tracce praticamente assenti. Ci trovavamo, «sostanzialmente, senza nulla in mano» [p. 8].
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È una nuova mattina. Con Colantuoni abbiamo troppi pensieri depressivi. Assorti rimaniamo basiti quando un vandalo tira un sasso contro la nostra finestra. A ben vedere da quella sfera esce una chiavetta usb. La inseriamo ed esce un articolo:
«Le indagini condotte dal Maresciallo Colantuoni circa la morte del giovane Luca Scotti, hanno permesso di scoperchiare [come] le persone più altolocate di Borgopianura e di diverse città italiane, avevano organizzato, facendosi scudo del famigerato dark web, un giro di prostituzione minorile» [p. 15].
Chi era stato a fornirci bell'e pronta la risoluzione del caso? A chi tributare il merito di questo risultato? Questo né io né il Maresciallo lo sapemmo mai.
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Merito di quel Mattia, amico del ragazzino deceduto, che aveva avuto l'intuizione di analizzare non il computer di Luca, bensì quelli che questo consultava in biblioteca per lasciare meno tracce possibili [p. 14] poiché, all'improvviso, nella sua vita erano comparsi «quelli là [che] aveva iniziato a frequentare da un paio di anni» [p. 4] e che avevano portato cupezza ed ombre sul volto [ivi]. Era iniziato tutto con uomo che lo aveva, inizialmente, spiato allo stadio mentre Luca giocava a calcio, poi ne aveva cercato informazioni su Facebook [p. 3], ed infine erano iniziati i primi approcci: al cinema dove «l'uomo gli mise una mano in mezzo alle gambe» [p. 12], fino a raggiungere l'obbiettivo finale, quello di portarselo a casa dicendogli: «"Se ti spogli ti accarezzo"» [p. 14]. Ma Mattia aveva scoperto anche l'assassino di Scotti. Quel fraterno amico Massimiliano, con cui aveva condiviso il possibile e l'impossibile [p. 1], con cui spartiva pressoché ogni istante della propria esistenza. Massimiliano aveva consumato la sua vendetta. Cruda ed immediata. Subitanea e rabbiosa. Irrazionale ed accecante. Massimiliano prese «Luca per il collo» [p. 16] poi estrasse «dalla tasca il martelletto che si era portato dietro» ed iniziò a colpire ripetutamente l'ex amico [ivi].
Luca, costretto da «quelle persone» [p. 16], quelle «persone che sono terribili» [ivi], aveva dovuto violentare il cuginetto, appena di dieci anni, dello stesso Massimiliano. E, come se ciò non bastasse, «riprendeva gli incontri che aveva con i ragazzini con il suo cellulare. Video» che poi consegnava a «quei porci» [ivi]. Gioco mefistofelico di ricatti, di torture psicologiche, umiliazioni, perversione. Cosa ci può essere più perverso del sesso in una chiesa? Di un sesso non consensuale, ordito da mani di diversi burattinai che tiravano i fili di bambini inconsapevoli ed impotenti? Distrutti interiormente nella migliore delle ipotesi. Chiusi nel loro bozzolo di una paura omertosa.
Qui l'omofilia perde quel lato sentimentale e commovente, elegiaco iniziale, e si tramuta, ma lo stesso potrebbe valere e vale per le relazioni etero, come fagocitazione e distruzione. O dietro queste due parole, fuor di metafora e fuori dal racconto, si cela la fatica, il percorso, di accettarsi e di dirsi gay? Il rifiuto e lo stigma. A volte, ci dice la cronaca, le botte e gli insulti.
Qualcosa era rimasto in sospeso. Nel cellulare del defunto, che Matteo e Massimiliano, avevano recuperato prima degli inquirenti, la sim era «straniera, probabilmente dell'est Europa» [p. 17]. I due amici si guardarono e Mattia aggiunse: «"Ci potrà servire, credo che di quegli stronzi ce ne siano in tutto il mondo, la nostra missione, caro socio, è appena cominciata!"» [ivi].
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Il killer rimane impunito. Come se il motivo morale del suo agire non rendesse immorale il suo agito. La verità emerge ma la giustizia è parziale, dimidiata. Il legame tra i due protagonisti può giustificare e calpestare la stessa? E i traumi subiti dal povero Andrea? Cancellati come le foto che lo riguardavano dal telefonino di Luca [p. 17]? Oppure il messaggio è più fine e profondo. E Cevolani ce lo lancia in questa sorta di fiaba goticheggiante: la necessità di accettare quel Mostro che ci portiamo in noi stessi, che noi stessi siamo, come ci insegnano le opere pittoriche di Alberto Martini.
Nota A: Giorgio Manganelli, Emigrazioni Oniriche, Adelphi, Milano 2023, a cura di Andrea Cortellessa, p. 253;
Nota B: G. Manganelli, Emigrazioni, cit., p. 206
Recensione a firma di: Ciccone Dr. Biagio