Il dipinto perduto di Stassfurt

13.08.2024

di Pierluigi Selmi

edizioni La Freccia d'oro, Cento (FE), 2023

«Svegliarsi, in un mattino scialbo o radioso, e sapere che non si ha alcuna incombenza, verso nessuno. Farsi un caffè, guardare fuori dalla finestra. […] Questo avrebbe potuto produrre una sensazione esaltate. Così non fu» (Roberto Calasso, L'Ardore) perché aveva troppo da fare.

In fondo, si disse, sono un soldato. O, almeno, è questo il mio passato. Ora sono solo un poliziotto come ce ne sono tanti. Con la Lady Dell'Infinito che continua ad abitarmi i pensieri. Questa donna così fragile, smarrita. Persa dentro se stessa. Che per fuggire dal dolore del mondo, quel mondo che l'ha violata, se ne è costruito uno alternativo credendo di potervici innestare e trovare quella pace a cui anela. Eppure, Costei, non è il pensiero più gravoso che mi affonda la coscienza. È il non aver scoperto l'assassino di Luca Scotti. Grazie ad una soffiata avevamo ricostruito, io ed il mio collega, il maresciallo Colantuoni, una irritente ragnatela di abusanti pedofili. Dell'omicida? Nulla. Non un sospetto, una traccia - seppur minima. Lo faceva anche per la Lady Dell'Infinito dare la caccia a questi maiali.

Il vecchio telefono da tavolo prese a squillare. Era il Vice-Questore che lo convocava da lì a pochi minuti nel suo ufficio. ‟Quello che ci vuole per distrarmi un po' da questo fallimento". Il Superiore gli propose un nuovo caso. Che nuovo non era. Con il Nucleo Tutela Patrimonio Artistico era chiamato a cercare l'unico quadro di Van Gogh in cui si autoritraeva in piedi, di cui fino ad oggi ci rimane sia una foto sia una la copia realizzata Francis Bacon [A]. È lì: l'artista che cammina sotto il sole, con il suo capello e la tavolozza. Forme semplificate, immediate, espressive. Colori bruni. Almeno è questo quello che sappiamo grazie allo scatto a colori fatto all'originale. Il Vice proseguì spiegando che erano emersi nuovi elementi che facevano supporre che fosse ancora intatto ed integro. Venduta al mercato nero? In casa di qualche agiato collezionista? Nel fondo di un qualche museo disattento? Documenti risalenti, e qui ci fu un silenzio perplesso dopo che ebbe terminato la frase, all'archivio della STASI [p. 271], che reggeva la sicurezza, e lo spionaggio nelle RDT, nella Repubblica Democratica Tedesca. Li avevano rinvenuti grazie all'Interpol: il valore dell'uomo di Tarascona era immenso; non solo per l'autore ma anche perché si collocava, nella vita dell'artista, nella fase di transizione dalla pennellata veloce a quella grumosa e densa, dalla vita all'aria aperta ad un dolore intimo e mentale. Da quelle vecchie e polverose carte emergeva un nome in codice: Don Juan – che non parse agli astanti un grosso sforzo di fantasia, per indicare un importante esponente del PCI che spesso si recava a Berlino.

La Lady dell'Infinito era stata la preda del nonno paterno. Tutti sapevano in famiglia. Tutti sapevano e tutti tacevano. Una rabbia sorda mi prendeva. Una voglia di spaccare ogni oggetto, oggi cosa mi capitasse a tiro.

Don Juan, da quanto stavano ricostruendo faticosamente le indagini (era come comporre un polveroso puzzle di un'altra epoca per quanto lui l'avesse vissuta) aveva passato un anno in un campo di prigionia [p. 28], e dalle poche note lasciate di suo pugno doveva essere stata una ferita inglobante, un dolore iniettato nel cervello e nell'animo [pp. 33, 34 passim]:

«Non dirò nulla. Non parlerò di niente perché soffro ancora e […] forse anche perché mi vergogno di essere di nuovo lì, in quel posto. Perché io sì e tanti altri no?» Era il senso di colpa del sopravvissuto. Che, assieme a molti altri, giunsero nella loro galera, «chiusi in carri bestiame che portavano le scritte del numero massimo di animali da caricare per salvaguardare il loro benessere. Noi eravamo molti di più di quanti bovini o cavalli potessero esservi stipati, con le finestrelle chiuse, senza possibilità di fare i nostri bisogni e senza bere, mangiare e dormire per quasi tre notti e quattro giorni. Solo la prima mattina del secondo giorno di viaggio hanno fatto scendere tutti dal treno, vagone per vagone, sorvegliati da uomini armati pronti a sparare. Ci hanno concesso di liberarci e subito dopo siamo stati obbligati a risalire sui vagoni. Poi più niente finché siamo arrivati allo Stalag VII-A. Il treno si è fermato fuori dal campo e molti di noi hanno guardato l'ingresso. Sulla cancellata c'era scritto Arbeit Macht Frei. Dopo poco più di tre ore il treno è ripartito e abbiamo viaggiato un'altra giornata intera fino alla Stalag III-A, la nostra destinazione finale».

In me queste parole riecheggiarono, pur con sfumature profondamente diverse, quelle di Primo Levi, Etty Hillesum e mi fecero pensare al saggio di Bidussa: Dopo l'ultimo Testimone. Anche subire violenza è come entrare in un lager od in un campo di lavoro? Sentire il gelo addosso, voler scomparire, preferire la morte alla vita, estraniarsi pur di non vedere l'intorno.

I pezzetti di carta, le note, i resoconti, i fascicoli, messi assieme come collage, dicevano che il dirigente del partito comunista italiano era entrato in contatto con certo Hans, altro recluso, che aveva lavorato presso le Miniere di Sale di Merkens, miniera all'interno della quale si costruivano i motori della Luftwaffe [p. 19], e nelle profondità della quale [p. 20],

«nel 1944, dopo una serie di bombardamenti sulla città, il direttore del Kaiser Friedrich Museum di Madeburgo decise di spostare quasi tutte le opere della collezione». Fu scelta «opportuna perché nel gennaio 1945 alcune bombe inglesi colpirono il museo e distrussero una parte rilevante dell'edificio».

Ormai la vittoria delle truppe alleate sembrava cosa fatta. L'esercito tedesco era allo sbando. La stessa miniera-industria era stata abbandonata a se stessa. Hans, convinto che nelle profondità di quel luogo vi fosse il famoso tesoro del Terzo Reich e, seguendo le parole della sua compagna, nonché segretaria del Ministerium für Staatssicherheit, tale Bertha, sappiamo per certo che sottrasse un artefatto: «non so che quadro presi, era lì su uno scaffale, con molti altri, scelsi quello perché era uno dei più vicini e dei più piccoli dello scaffale, era, circa, così per così» [p. 52]. La misura esatta è, era, 49x45 cm [p. 127]. Ogni orco ha il suo magazzino segreto. La Lady Dell'Infinito piange. Come una tossica insegue ed elemosina amori pur di sfuggire a quel Satana che è il Vuoto della Solitudine. Quasi un ossimoro con i colori vangoghiani che, nel disperso quadro, enfatizzano l'atmosfera del luogo (Arles?).

Ovviamente mettere nero su bianco tutto, fare un insieme sinottico comprensibile era opzione destinata allo scacco. Il pittore di Tarascona, una delle sei opere perse dell'artista olandese, si innervava su una infinità di fatti storici che facevano sì che il piccolo autoritratto, con l'artista in piedi (cosa del tutto rara nelle sue realizzazioni), comparisse e scomparisse come se navigasse nel mare. Nella RDT tra il 1961 ed il 1962 si consuma il piano Luce, dove l'onnipresente ministero per la sicurezza si era prefissato di «rintracciare tutti i beni di valore che dopo la fine della guerra […] sono ancora nascosti nei caveaux delle nostre banche, per scoprirli e dichiararli per quello che sono, di proprietà pubblica, quindi di proprietà dello Stato» [p. 84]. Che entrò in possesso di ben 4,1 milioni di marchi [p. 160] mentre, per i beni rinvenuti e messi all'asta, aveva incassato 430 milioni di marchi [p. 161]. Nella ruota degli intrighi, della delazione, delle ristrettezze alimentari (dove persino il caffè era risciacquatura imbevibilep. 199), della povertà dei teatri spacciata per focalizzazione sui significati [p. 167], delle proteste operaie ferocemente represse dai sovietici [p. 38], e che parevano in sintonia con i fatti di Budapest [p. 212], dove un Ministro poteva disporre a Suo piacimento del corpo della sua collaboratrice [p. 87], e dove, ancora, nei condomini "sovietici" l'ascensore si fermava tra due piani, da cui poi si prendeva la scala relativa per contenere costi [p. 196] – antinomie di un sistema da eterogenesi dei fini - che fine aveva fatto l'opera di Tarascona, realizzata da un «Van Gogh che sicuramente non era pazzo e che ha camminato, danzando, sulla vita, come sul filo mai interrotto di un vulcano» [B]?

In quale circostanza Hans aveva ceduto l'autoritratto al comunista italiano? Era la domanda che la stessa STASI si era posta facendo pedinare l'italiano [p. 207], mettendogli sotto controllo il telefono [p. 209]fino a pensare di rapirlo [p. 228] – e che si facevano persino i russi, desiderosi di mettere le mani sull'opera scomparsa [p. 258]… che mostrava il pittore «con il cappello di paglia in testa, alcune tele sotto il braccio sinistro, il cavalletto tenuto con la mano destra e una specie di zaino sulle spalle, che cammina su una strada assolata, ricoperta di foglie, accompagnato dalla sua ombra, totalmente netta e nitida, che gli suggerì di scrivere al fratello che il solo è giallo come lo zolfo e il cielo blu come cobalto» [p. 128]. Frattanto la Lady dell'Invisibile stava accasciata in un angolo. Bambola di pezza senza vita. Svuotata e sgomenta. In quella soffitta abitata dalle paure che solo una bambina può avere. E deve affrontarle da sola. Poi? Cosa le rimarrà? Rapporti guasti, malsani, sbagliati. Lei insegue, accetta, si colpevolizza. Mi venne un conato di vomito. Un fiotto di bile, di nervosismo di voglia di vendetta. Eppure una nota di positività in questo vecchio caso c'era: l'amore del funzionario italico per la sua interprete Lisa. Delicato, eterno, poetico.

Troppi anni erano passati: all'epoca esistevano ancora la Trabant, la Zhiguly, la Wartburg [p. 251]. Quello che si poteva assemblare per via documentale era stato fatto. Bisognava convocare i figli di tal Don Juan. I due, Fabrizio e Fiorenza, neppure in commissariato parevano andare troppo d'accordo. Era un continuo battibeccare «che nascondeva le ferite profonde che si erano formate anni addietro e non avevano mai cicatrizzato» [p. 14]. La Lady Dell'invisibile non aveva voluto aiuti esterni. Aveva cercato di rabberciarsi all'a bell'e meglio, come poteva e con gli strumenti che trovava. Sì, certo: era riuscita a mettere in piedi una certa dignità di vita, ma rimanendo squartata dentro di sé. La sua interiorità era una macelleria. I due figli ammisero di aver ereditato dal nonno il suo studio di pittore, abbandonato da tempo, polveroso e sporco. Le tele, tutte tassativamente 49x45 cm.,

«riprendevano lo stile di Van Gogh, perché ai suoi tempi erano molti che sostenevano che non sapeva dipingere, che non capiva i chiaro-scuri, che esagerava con i colori, a volte troppo scuri e tetri, altre volte troppo appariscenti e chiassosi» [p. 279].

Confermarono che l'"Autoritratto" era stato tra le mani del loro progenitore grazie ad una semplice trovata: se lo era fatto 'spedire' a casa, nella penisola, tramite un trasportatore di fiducia [p. 273]. Da qui se ne perdono nuovamente e definitivamente le tracce. Seguibili solo, ed oltretutto parzialmente, da questi stessi nipoti che del nonno avevano il taccuino. Costui se ne va a Parigi.

«Ho deciso di riportarlo a casa, in Francia, dove Vincent aveva lavorato negli ultimi anni della sua vita, poco lontano dal luogo dove è morto. Tenevo il quadro sottobraccio, l'avevo fissato su un telaio nuovo e sul retro della tela avevo coperto con pennellate di colore ogni possibile riferimento che potesse richiamare l'originale di Van Gogh. Mi sono fermato in numerose bancarelle che vendevano chincaglieria artistica e anche quadri […]. Mi sono rivolto ai padroni delle bancarelle e ho offerto il mio Van Gogh dicendo l'ho fatto io, lo vendo per poco, solo per mangiare […]. Alla fine, ho accettato per ben quarantacinque franchi francesi» [pp. 288-289 passim]. E dalla Lady Dell'Invisibile, rimane un flebile rivolo di sangue.

Recensione a cura del Dr. Biagio Ciccone, Storico dell'arte e critico letterario

[A] Silvia Morosi e Paolo Rastrelli, Van Gogh rivive un dipinto distrutto dalla Seconda guerra

mondiale, "Corriera della Sera", 7 luglio 2020, reperibile al link, consultato il 10/08/2024:

https://pochestorie.corriere.it/2020/07/07/van-gogh-rivive-un-dipinto-distrutto-dalla-seconda-guerra-

mondiale/?refresh_ce-cp

[B] Vincenzo Bonaventura, Tutti i colori di Van Gogh, del suo lucente tormento: esposte 82 opere,

"Gazzetta del Sud On Line", 11 ottobre 2020, reperibile al link, consultato il 10/08/2024:

https://gazzettadelsud.it/foto/cultura/2020/10/11/tutti-i-colori-di-van-gogh-del-suo-lucente-tormento-

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